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NUOVO CORSO LEGHISTA: CHI HA PARLATO DI NAZIONALISMO?

In questo articolo ci proponiamo di sviluppare alcune considerazioni in relazione al nesso quarta teoria politica e comunitarismo, come sviluppo di un precedente intervento. Negli ultimi tempi, nel mondo sovranista e identitario, si è acceso un dibattito circa i referendum imminenti sull’autonomia della Lombardia e del Veneto e sugli ultimi sviluppi della questione catalana tra nazionalisti e neopatrioti. I nazionalisti, figli del giacobinismo, hanno criticato come è noto le spinte autonomiste-indipendentiste in questione, mentre il Talebano ha avuto una posizione diversa. Come scritto nel recente libro Sovranisti nel nuovo millennio al di là della destra e della sinistra di Fabrizio Fratus, la riscoperta del concetto di Patria portata avanti dal Talebano si basa sulle seguenti direttive:
 
  • Oggi la frattura è sempre di più tra popoli e poteri forti apolidi
  • È in corso una accelerazione di un processo di stravolgimento umano
  • Questo porta alla necessità di trovare nuove forme di partecipazione politico-culturali del mondo di destra

La risposta non è rilanciare nazionalismi otto-novecenteschi, ma opporsi all’individualismo postmoderno, figlio del pensiero unico con una ripresa dei valori fondanti dell’uomo (Homo Religiosus, uomo come essere comunitario) oggi oscurati. Questo oscuramento produce patologie determinate dall’ideologia dominante.
È a partire da questa riflessione antropologica presente in vari articoli del Talebano che vanno inquadrati i temi dell’autonomismo-indipendentismo: una concezione antropologica che si misura su alcuni sviluppi del pensiero “rivoluzionario conservatore italiano” nella seconda metà del Novecento e in questo inizio del Terzo Millennio.
Com’è possibile constatare in vari articoli del Talebano, in consonanza con certi sviluppi del pensiero “rivoluzionario conservatore” e del revisionismo storico, occorre comprendere e superare vecchi schemi, mantenendo saldi i valori fondanti della destra, ma confrontandosi con la realtà.
Secondo tale prospettiva, l’indipendentismo è inaccettabile se diventa espressione delle ambizioni egoiste di una regione boriosa della sua forza economica, ma può essere accettabile se rappresenta una variante del sovranismo, attenta alle diversità dei popoli. Nello specifico italiano, sostiene Vincenzo Sofo, l’autonomismo deve essere uno strumento per una migliore gestione dell’amministrazione locale sul il proprio territorio e non momento di clientelismo politico, pena la revoca dell’autonomia stessa. In questo Sofo fa eco al siciliano Pietrangelo Buttafuoco.
L’unità, come già scritto, non è omologazione, ma una comune visione del mondo che accomuna unità e molteplicità, cooperazione e differenza. Ovviamente, per quanto riguarda autonomia e indipendenza, si tratta di sganciarsi dal concetto di libertà negativa, assoluta, dell’ideologia della libertà tipica del liberalismo, passando a un concetto più profondo di libertà, vicina ai bisogni veri e naturali della persona messi in crisi dalla trasmutazione moderna dei principi di essere umano e di comunità. Naturalmente si potrebbe obbiettare che esiste un etno-regionalismo, per usare un termine di Filippo Ronconi, coniugato con visioni politiche diverse: liberali, liberiste, arcobaleno. Questo è vero, ma ciò non toglie nulla, anzi avvalora l’importanza di una proposta comunitarista che coniughi valori identitari e tradizionali, facendo attenzione ai problemi sociali, alla buona gestione amministrativa e a un nuovo corso leghista non tanto nazionalista, quanto inerente un’unione di movimenti identitari delle nostre mille patrie per un’Europa e un’Italia dei popoli, care al leghismo e alla miglior destra.

 

SOVRANITÀ E IDENTITÀ LE SFIDE DEL TERZO MILLENNIO

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