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LA RUSSIA COME MODELLO: INTERVISTA A PAOLO BORGOGNONE

Il nostro sito oggi ha il piacere di presentare un’intervista con Paolo Borgognone. Classe 1981, astigiano, Paolo Borgognone è un autore emergente e indipendente dell’area definita sovranista. Storico e saggista, è autore di numerosi libri e articoli di indubbio interesse comunitarista di cui consigliamo vivamente lo studio.
Grazie caro Paolo di aver accettato questa intervista. Per il nostro sito, che è impegnato contro l’evoluzionismo scientifico e la correlata visione progressista e che ha come perno l’impegno di Fabrizio Fratus protagonista a livello internazionale dell’antievoluzionismo, i tuoi scritti sono molto interessanti. Vuoi per i nostri lettori presentare a grandi linee le coordinate del tuo pensiero e gli autori che ti hanno ispirato?
Grazie a voi per questa intervista. Io sono un pensatore autodidatta, non ho padroni né padrini e questa è stata, come si suol dire, la mia fortuna poiché ho potuto costruire, faticando non poco, un pensiero autonomo che mi caratterizza in quanto autore. Io mi definisco un pensatore con valori che si situano a destra (una destra tradizionale, spirituale, metapolitica e non-mercantile), idee politiche sovraniste, ovvero democratiche in senso forte, laddove democrazia significa potere costituente delle classi popolari, e idee economiche socialiste non marxiste, piuttosto di impronta marxiana. Nel 1992-93, ovverosia quando ero appena un ragazzo che cominciava a interessarsi di politica, presi a simpatizzare apertamente per il Movimento Sociale Italiano, che interpretai, in maniera piuttosto superficiale a dire il vero, ma ero giustificato vista la giovane età e l’inesperienza, come partito tendenzialmente antiglobalista e critico nei confronti dell’american way of life all’epoca significativamente dominante e, più che oggi, incontrastato a livello mediatico-culturale. Le mie simpatie nei confronti del MSI non erano in alcun modo riconducibili a una personale adesione ideologica al fascismo ma al fatto che considerai, in parte sbagliando, il Movimento Sociale Italiano come il partito più distante, nell’ambito del panorama politico italiano, dalla cultura di massa mainstream propria dell’american way of life e del cosmopolitismo liberal-borghese. Successivamente militai anche in Alleanza Nazionale e in quel contesto ebbi infelice conferma del fatto che la destra “di governo”, in Italia, si connotava come pressoché integralmente atlantista, opportunista, normalizzatrice e liberista almeno quanto la sinistra. Così, nel gennaio 2008, abbandonai il mio impegno politico, peraltro saltuario e poco partecipato, nei ranghi di questa corrente specifica. In seguito, deluso e irritato dall’anticomunismo in assenza di comunismo veicolato ostensivamente dalla destra globalista e sistemica di Fini e “colonnelli” opportunisti, filosionisti e modaioli di complemento, frequentai per un certo periodo, altrettanto saltuariamente e senza entusiasmo a dire il vero, all’incirca dal 2009 al 2013, circoli territoriali di sinistra (pur da indipendente e senza iscrivermi ad alcun partito) e in quel contesto potei verificare con mano la stupidità, il pressapochismo, l’ignoranza e la vocazione perpetua al tradimento ideologico e politico da parte dei residui imbelli e frustrati, ma compromissori, ultrasistemici e forchettoni alla bisogna, del comunismo all’italiana. Le caratteristiche disdicevoli che ho precedentemente elencato nel descrivere la sinistra, possono essere utilizzate allo stesso modo per etichettare buona parte della destra post-fascista italiana. La destra infatti tende a legittimare se stessa veicolando la narrativa dell’anticomunismo in assenza di comunismo così come la sinistra trova la sua ragion d’essere esclusivamente come partito dell’antifascismo ossessivo, ostentato, per certi versi isterico e, soprattutto, in assenza di fascismo. La narrativa dell’antifascismo in assenza di fascismo è, in effetti, un fattore di residua mobilitazione militante a sinistra ma, nei fatti, istupidisce e corrompe profondamente questa parte politica poiché, abbacinandola, non le consente di interpretare le dinamiche del tempo presente in maniera lucida sotto il profilo strettamente psico-politico. Io credo infatti che la sinistra mainstream sia, prima ancora che una vera e propria tendenza politico-culturale, una sorta di perversione utilitaristica iscritta nell’apparato neuronale profondo dei suoi militanti e simpatizzanti e, come tale, debba essere analizzata, combattuta ed eradicata. Detto questo, vorrei sottolineare che, ieri come oggi, vi sono, a destra come a sinistra, nonostante la profonda corruzione politico-morale in chiave neoliberale che ha connotato, connota e connoterà questi assets mediatico-pubblicitari della segnaletica politica contemporanea, intellettuali, militanti e simpatizzanti che si caratterizzano come avversari tenaci e preparati dei processi di globalizzazione liberal-capitalistica e io nutro profondo rispetto, stima e ammirazione per costoro. A partire dal 2014, infatti, una volta estraniatomi anche dalla “sinistra”, ho iniziato a strutturare un mio pensiero autonomo che attinge, sotto il piano politico, a ciò che di meglio la cultura facente riferimento alla destra conservatrice/rivoluzionaria e la cultura comunista, socialista e marxista eterodossa conservano nel loro bagaglio identitario, valorizzando i presupposti ideologici (personalmente non considero la parola ideologia una bestemmia) caratteristici delle categorie eterogenee e, per certi versi, tendenzialmente “astratte” di cui sopra. La mia formazione storico-filosofica è stata, in questo senso, molto influenzata dallo studio successivo delle opere di pensatori tra loro eterogenei dal punto di vista ideologico, quali Konstantin Leont’ev, Nikolaj Danilevskij, Dragos Kalajic, Aleksandr Zinov’ev, Aleksandr Dugin, Gennadij Zjuganov, Igor Safarevic, Alain de Benoist, Costanzo Preve, Carlo Terracciano, Claudio Mutti e Adriano Romualdi. Particolarmente significativa, nel mio percorso di ricerca filosofica, anche la lettura del classico di Oswald Spengler “Gli anni della decisione”, un volume imprescindibile, recentemente ripubblicato da Oaks Editrice. In questi autori ho cercato, e cerco ancora, il mio personalissimo “Santo Graal” storico-filosofico e ideologico, ovvero quel complesso di riferimenti identitari e ispirati ai nobili concetti di riscatto popolare e giustizia sociale che mi piace definire “bolscevismo nero”. Il mio pensiero, infatti, si situa oggi, e i libri, articoli e saggi che ho scritto dal 2015 a questa parte, ossia da “Capire la Russia” in poi, lo dimostrano, all’intersezione tra la destra rivoluzionaria, aristocratica nelle forme e ribelle e popolare nei contenuti (Rivoluzione Conservatrice), e la sinistra socialista e di popolo, marxiana e idealista. I valori cui mi ispiro sono quelli mutuati dall’ordine e dai codici culturali simbolici tradizionali tipici della Cavalleria, ovvero onore, fedeltà, onestà e signorilità. Le idee cui faccio riferimento sono altresì ribelli e di critica onnicomprensiva al regime del capitalismo liberale e della società di mercato. Per quanto riguarda gli studiosi e i pensatori considerati, a torto o a ragione, di destra cui mi ispiro, includerei tutti gli analisti del fenomeno fascista declinato in accezione rivoluzionaria, “rossa” e proletaria, da Berto Ricci fino agli interpreti contemporanei della “Quarta Teoria Politica”. Ho, in particolare, molta stima per intellettuali e pensatori genericamente percepiti come “di destra” quali, tra gli altri, Roberto Pecchioli, Maurizio Blondet, il defunto Dominique Venner, Rodolfo Sideri e Luca Leonello Rimbotti, di cui cito e colleziono le preziose opere. A sinistra, invece, ritengo fondamentale e inestinguibile la lezione di intellettuali e filosofi come Costanzo Preve, Giorgio Galli, Jean-Claude Michéa e la sua scuola di pensiero francese. Ho anche molta stima nei confronti dell’opera di intellettuali e filosofi più propriamente marxisti come Domenico Losurdo e Stefano G. Azzarà.  Dal punto di vista più strettamente politico, invece, nella fase contingente, prendendo atto dei rapporti di forza esistenti nella società, auspico, in totale e palese assenza di una sinistra patriottica e di classe in grado di istituire un lavoro politico-culturale di impronta potenzialmente egemonica, la costituzione di un’alleanza “nero-verde”, nazional-sovranista, che abbia perlomeno il coraggio di portare alla luce le contraddizioni laceranti e insostenibili presenti nel perimetro della “società aperta”, ovvero all’interno dello spazio privato post-identitario, o “torre d’avorio” neosegregazionista, in cui si rinchiudono caparbiamente, nel nome della loro narrativa improntata a veicolare inesistenti presupposti di “superiorità morale”, i nuovi ceti medi globalizzati, metropolitani e cosmopoliti che costituiscono, ahimè, la parte politicamente attiva e dispotica dei Paesi cosiddetti occidentali. Questa coalizione “nero-verde”, che considero futuribile dal punto di vista politico-programmatico ma possibile, credibile e praticabile sul terreno culturale e metapolitico, dovrebbe comprendere la Lega, i partiti fascisti che si considerano rivoluzionari (CasaPound, FN, MS-FT e altri) ma che, nel momento in cui perseguono e ostentano un isolamento rivendicato nei confronti di qualsiasi aggregazione potenzialmente più ampia rischiano di soccombere ai rischi del frazionismo suicida, del nostalgismo e dell’autoreferenzialità, i circoli territoriali metapolitici anti-sistemici di destra e di sinistra e quegli spezzoni, tuttora esistenti e meritori anche se numericamente minoritari, della sinistra di popolo e di classe (Partito Comunista di Marco Rizzo) che non si adeguano e rassegnano a recitare un ruolo subalterno nei riguardi del regime del politically correct ancora per molti aspetti dominante.
 
Come ben saprai il Talebano è da anni impegnato nella elaborazione del pensiero comunitarista alternativo al pensiero unico, integrando la migliore tradizione culturale delle rivoluzioni nazionali, con la cultura  identitarista, antiglobalista delle piccole patrie che, come sostengono alcuni studiosi come Marco Fraquelli, Matteo Luca Andriola, Antonio Rapisarda possono considerarsi  espressione di un pensiero rivoluzionario conservatore dei nostri tempi. Tu che hai studiato a fondo le corrente politico-culturali e le dinamiche sociali della Russia postsovietica,  possiamo considerare questa realtà una avanguardia di lotta al globalismo? Quali autori di questo affascinante mondo possono essere interessanti nell’elaborazione di un pensiero comunitarista?
La generazione “nero-verde” di cui sopra, vero e proprio auspicato contraltare antropologico, filosofico e identitario alla “Generazione Erasmus” (ovvero, i figliocci omologati e sbruffoncelli della società di mercato e delle sue dinamiche di riproduzione improntate al nichilismo permanente e attivo e allo sradicamento), dovrà essere il prologo necessario e indispensabile di una più complessa, colta e articolata alleanza “nero-rossa”, antiglobalista, su scala potenzialmente continentale. Questa nuova alleanza europea per la sovranità, i valori cavallereschi in ambito culturale, esistenziale e simbolico e il socialismo e la deglobalizzazione in ambito politico-economico potrà costituirsi soltanto con il contributo, determinante, delle idee e dei presupposti propri della “Quarta Teoria Politica” di Aleksandr Dugin. La “Quarta Teoria Politica” è, infatti, semplificando al massimo, la rivoluzione/conservatrice declinata sotto il profilo russo, profondamente russo. La Russia è infatti il Continente-Impero ancestrale, magico e iperboreo per antonomasia, e la sua storia lo dimostra. La Russia, insieme all’Italia e alla Germania, è il laboratorio politico d’Europa in prospettiva eurasiatica. I destini di Italia, Germania e Russia sono inscindibilmente legati e affondano le loro radici nel passato geopolitico e imperiale di queste nazioni complesse. I ceti liberal statunitensi hanno tutto l’interesse a manipolare l’ideologia dei tedeschi, subordinandoli a un senso di colpa atavico per il loro passato nazista e ancorandoli a una narrativa perbenista, mercantilista e cosmopolita funzionale a perpetuare la separazione geopolitica e culturale tra Germania e Russia. Eppure, la Russia e la Germania, ovvero Paesi a struttura nazionale rispettivamente “nazional-bolscevica” e “nazional-socialista” (intesa, però, in accezione più propriamente conservatrice/rivoluzionaria e non russofobica) sono Stati di tradizione imperiale forgiatisi nei secoli appositamente e strutturalmente per marciare fianco a fianco. Vorrei, a riguardo, consigliare, per chi volesse approfondire questi concetti, la lettura del libro di Arthur Moeller van den Bruck, “Tramonto dell’Occidente? Spengler contro Spengler” (Saggio Introduttivo di Stefano G. Azzarà, Oaks Editrice, 2017). In questo volumetto denso e illuminante, Moeller van den Bruck (1876-1925), scrittore autenticamente nazionalrivoluzionario, ritiene infatti che «l’Europa possa e debba rinascere grazie a una nuova religione politica di carattere egemonico e modernista, capace di parlare ai “popoli giovani” dell’Est e di prefigurare un diverso assetto del globo che rilanci il primato europeo all’unione con il mondo asiatico». Già agli esordi del XX secolo, infatti, Moeller van den Bruck prefigurava «una soluzione euroasiatica alla crisi di un Occidente atlantico in piena decadenza». Questa soluzione eurasiatica alla decadenza dell’Occidente liberal-individualista e tecno-mercantile è, dal punto di vista ideologico, il ricorso collettivo al complesso di valori anti-borghesi e anti-progressisti propri della “Quarta Teoria Politica”. La “Quarta Teoria Politica” come “Socialismo Nazional-Imperiale Eurasiatista” (sintesi anti-moderna dei valori propri del fascismo rivoluzionario e originario, ossia “rosso” e proletario e del “marxismo di destra”, cioè incontaminato da ogni riferimento, puramente liberale e occidentale, al razionalismo, all’umanitarismo e al progressismo), infatti, presuppone l’istituzione di una democrazia e di una società organiche e cavalleresche in luogo dell’odierna “società aperta” che altro non è se non l’espressione più compiuta del vagabondaggio consumistico delle nuove moltitudini culturalmente narcotizzate e indifferenziate, fagocitate e centrifugate nell’alveo della anti-civiltà capitalistica americanocentrica, di mercato e di spettacolo. Discorso analogo vale per i destini dell’Italia, Paese inscindibilmente legato, piaccia o meno, alla Germania e alla Russia da riferimenti geopolitici, culturali e spirituali che affondano le proprie radici nei secoli aurei, argentei e più propriamente guerrieri, bellicosi, dell’Impero romano (incontro “romano-germanico”, Sacro Romano Impero, Mosca come “Terza Roma”). Nel momento in cui la Germania ritroverà se stessa, ovvero la propria identità ideologica nazional-patriottica, rivoluzionario/conservatrice, tellurocratica e socialista, il dominio dispotico del cosmopolitismo liberale, mercantilista, talassocratico e iperborghese sull’Europa avrà fine poiché l’alleanza geopolitica russo-tedesca costituirebbe un blocco militare, economico e spirituale invincibile per qualsivoglia nemico ideologico esterno.
 
Essendo tu uno studioso critico della sovrastruttura liberal del capitalismo pienamente realizzato, come giudichi il ruolo della diffusione della pornografia di massa e cosa ne pensi della tesi sostenuta da Fabrizio Fratus e Paolo Cioni che la pornografia è funzionale al potere?
La pornografia è una forma di americanizzazione delle grammatiche esistenziali dei singoli e, pertanto, è ovvio che si pone in perfetta coincidenza e continuità con le logiche di sradicamento proprie della società di mercato. La pornografia è una sorta di branca mediatica della guerra che le élite libertarie e transgender contemporanee combattono contro il sesso. La pornografia, infatti, non ha alcunché di erotico e, anzi, riesce a separare decisamente la sessualità dall’eros. La pornografia riduce infatti il sesso a mero atto idraulico privo di ogni fascino, storia e racconto erotico in cui la sessualità trova, per definizione, compimento ed estasi. La sinistra si è battuta, in passato, per liberalizzare la pornografia proprio perché la diffusione di massa della pornografia è funzionale a implementare processi di incomunicabilità tra i sessi e di mercificazione del sesso. Inoltre, l’esposizione massiva alla pornografia può provocare persino, negli utenti, problemi di disfunzione erettile e ciò è un dato di fatto rilevante poiché il sistema di potere occidentale dominante, per autoistituirsi, necessità di individui ignoranti, docili e impotenti al contempo. La pornografia di massa viene diffusa dall’industria globalista dell’entertainment con lo stesso obiettivo che gli yankee perseguivano nel momento in cui fiaccarono gli indiani introducendo l’alcol presso le tribù pellirossa, ovvero inficiare la capacità emotiva dei popoli di resistere, combattere e ribellarsi a un’invasione coloniale. Io credo che i teenager che passano le loro giornate a scaricare fotografie di prostitute da Internet o a tentare di masturbarsi dinnanzi a video porno di bassissima qualità ed elevata volgarità compulsati su qualche sito ad hoc, meritino appieno di essere trattati, dai padroni di turno, come schiavi del regime di sfruttamento introdotto dalla precarizzazione integrale del lavoro, oggi ridotto a mera forza lavoro flessibile e intercambiabile. Chi è causa del suo mal… Infine, credo che la pornografia di massa sia un business estremamente lucroso per i suoi manager e, pertanto, già solo per questa ragione, si connoti come una sorta di ingranaggio del modo di produzione odierno.
 
La Redazione
Nella prolifica opera di Paolo Borgognone, ci preme ricordare ai lettori:
“Il fallimento della sinistra radicale”, Zambon editore, 2013
“Capire la Russia”, Zambon editore, 2015
“Generazione Erasmus. I cortigiani della società del capitale e la guerra di classe del XXI secolo”, Oaks Editrice, 2017.

 

SOVRANITÀ E IDENTITÀ LE SFIDE DEL TERZO MILLENNIO

COPERTINA SOVRANISTI A MILANO EBOOK

INTERVISTA A MASSIMO FINI E A FABRIZIO FRATUS

 

CONTRIBUTI AL COMUNITARISMO

GianfrancoGianfranco Costanzo - seppur viaggiatore per vocazione, anarchico per carattere, di mille interessi, ritorna alla terra per educazione, per curare quel pezzettino di mondo che si è visto affidato e ritrovarne i valori. Comunitarista e tradizionalista vorrebbe sostituire “ il noi” “all’io”. Si consola pensando che appena la controrivoluzione avra' ristabilito la benevolenza tra le genti ed ritorno alle tradizioni dei popoli, potrà ritornare ai suoi viaggi tra civiltà ancora autentiche.